Intervista a Piergiorgio Cattani, giornalista editorialista e autore di numerosi libri. Nello spirito di TEDx abbiamo condiviso con Piergiorgio alcune riflessioni su temi pregnanti come il senso di libertà, il rapporto con la fede, la tecnologia e la paura, raccontati dal punto di vista di chi convive ogni giorno con una grave disabilità che, invece di allontanare, lo avvicina al mondo offrendo la sua testimonianza di vita.
“Above us only sky”, questa frase, quasi un titolo in prima pagina, introduce l’apertura del tuo sito. Vorrei partire da questo per raccontare ai nostri lettori la tua esperienza di vita, i tuoi valori, i tuoi desideri. Cosa significa esattamente questa frase, quasi un motto…?
Come è noto quello citato è un verso di Imagine, il classico di John Lennon. Una canzone dai molti significati, il più evidente riguarda sicuramente la visione utopica di un mondo di pace e fratellanza universale. I confini, le religioni, le nazioni non esisterebbero più. Sopra l’umanità si staglierebbe soltanto il cielo. Per me questa frase evoca un senso di serenità e di libertà, un’aspirazione a trascendere se stessi, a puntare in alto senza paura. Il cielo può anche spaventare perché ricorda la nostra piccolezza, ma per me il cielo non è vuoto, anzi è la meta dei nostri desideri. Mi piace anche citare la poesia di Baudelaire “Elevatiòn” che dichiara felice “colui i cui pensieri, come allodole,/ verso i cieli al mattino spiccano un volo/ – che plana sulla vita. e comprende senza sforzo/ il linguaggio dei fiori e delle cose mute”.
Sei è un uomo prolifico, 3 lauree, giornalista impegnato e autore, e non ami considerarti un malato con grave disabilità. Affronti la tua vita con determinazione sostenuto da una grande fede che ti accompagna nei momenti più bui. “Non sono un disabile che fa il giornalista. Sono un giornalista che ha dei gravi problemi fisici che cerca di superare”.
Come il giornalismo e lo studio delle Scienze religiose ti aiutano o a viaggiare e conoscere il mondo?
La domanda è complessa e riguarda convincimenti molto profondi, difficili da spiegare. Ognuno deve trovare i propri punti di riferimento che non possono essere oggettivi e validi per tutti. Sicuramente per me la fede è importante, ma ritengo che altri potrebbero trovare altri elementi per affrontare le difficoltà della vita. La scrittura mi aiuta molto perché penso di riuscire ad esprimermi al meglio nell’attività giornalistica ed editoriale. Mi è sempre piaciuto studiare, approfondire le cose, conoscere il mondo. Ritengo che lo studio delle religioni sia essenziale per capire qualcosa delle varie culture che ormai non sono lontane da noi, sono invece dentro di noi.
In passato hai affermato che “chi non si pone domande non è un uomo”. Secondo il tuo punto di vista, quali sono le domande che la nostra società, ma in particolare i più giovani, dovrebbero porsi e sulle cui risposte poi impegnarsi per realizzare una vita piena, ricca di significato?
Credo che presto o tardi tutti si fanno le cosiddette “domande esistenziali” e che dunque sia sbagliato presentare i giovani come persone prive di interiorità e quindi incapaci di domandare. Tuttavia, ci sono questioni che invece vengono scansate perché prevale una logica individualista con la tendenza a chiudersi nel privato. Invece la domanda fondamentale di questa epoca mi sembra questa: come posso fare a vivere insieme agli altri? È possibile costruire una comunità di diversi ma in cui tutti possono trovare un posto e un ruolo, quindi sentirsi pienamente realizzati? Queste sono anche le domande che la vera politica dovrebbe farsi. Paul Ricoeur diceva che una vita buona è quella “con e per gli altri, all’interno di istituzioni giuste”. Io credo che una vita ricca di significato possa realizzarsi soltanto in una dimensione aperta agli altri, ad ogni livello.
Fede e tecnologia. Scienze religiose e medicina. Potremmo definirli volti della stessa medaglia. Entrambe presenze costanti e indispensabili nel tuo percorso di vita che ti aiutano nel relazionarti con gli altri e comunicare…Potrebbe esistere l’una senza l’altra?
Siamo immersi in un mondo dominato dalla tecnica (termine che qui uso come sinonimo di tecnologia). Non possiamo fare a meno di dotarci degli ultimi ritrovati tecnici che si applicano in ogni campo, dalla comunicazione alla medicina. Sono strumenti utilissimi, che ci allungano la vita e che a me permettono non solo di sopravvivere ma di avere un’esistenza “normale” perché piena di opportunità e di relazioni. Sappiamo però che la tecnica ci può travolgere. Occorre allora sviluppare parallelamente una vita interiore profonda (non parlerei in questo senso di fede o di spiritualità) capace di riempire di senso le grandi possibilità offerteci dalla tecnica. L’equilibrio fra queste due componenti del mondo contemporaneo è fragile e instabile, ma va ugualmente ricercato con tenacia e costanza.
Nel tuo libro “Cara Valeria, lettere sulla fede” del 2008 affronti il tema della malattia, della sofferenza, del dolore, e della vita nonostante tutto. Che cosa è per te la paura? E la libertà?
Queste ultime due parole mi ricordano il mito di Sigfrido così come è stato reinventato da Richard Wagner nella saga de “L’anello del Nibelungo”. L’eroe della mitologia norrena e germanica viene presentato in una chiave del tutto inedita: è un giovane, un ragazzo, spavaldo e a tratti un po’ sciocco, ignaro del mondo. In particolare, Sigfrido è l’eroe che “non conosce la paura”. Non sa cosa sia. Compie numerose imprese senza però alcuna consapevolezza, nei fatti senza alcuna scelta libera. Per essere pienamente uomo deve conoscere la paura. Prova questo sentimento non di fronte ai mostri più terribili ma quando scopre di essere innamorato di Brunilde. L’amore può generare anche paura. Le prove della vita, le situazioni più difficili ma anche le più felici, se vissute con attenzione e fiducia, possono farci diventare liberi. Sono le “stazioni sulla via della libertà” come le chiamava il teologo Bonhoeffer.
Vivi in una regione d’Italia che io amo particolarmente il Trentino Alto Adige, vicino ad uno scenario di incommensurabile grandezza che il mondo intero ci invidia, le Dolomiti. Quale è il tuo rapporto con la natura?
Se devo essere sincero, non ho mai avuto grande interesse per l’ambiente naturale. Posso dire di essere totalmente ignorante di botanica o di zoologia. Mi sono un po’ rifatto negli ultimi anni grazie alla mia frequentazione con il Muse, museo della scienza di Trento. Tuttavia non sono un appassionato. Certamente i paesaggi del Trentino – soprattutto quelli a una certa quota – sono splendidi e non possono non incantare. Ma ormai sono abituato alla vita della città.