“Beat plastic pollution: if you can’t reuse it, refuse it” è stato lo slogan del World Environment Day che quest’anno ha puntato i riflettori sui nostri mari inquinati e sulla gestione dei rifiuti a livello globale.
Un tema che è stato portato alla luce anche dai numerosi studiosi che hanno calcato i palchi di TED e TEDx con l’obiettivo di facilitare la comprensione della questione ambientale e proporre soluzioni alternative.
Ogni anno, 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono nel mare e 1000 miliardi di sacchetti di plastica usa e getta vengono utilizzati per una media di 15 minuti.
Sappiamo che senza un intervento immediato entro il 2050 nei nostri mari ci saranno più rifiuti di plastica che pesci, eppure queste informazioni non sembrano esercitare alcuna forza sulla nostra motivazione ad agire per fermare il degrado ambientale.
Alla base di una simile inerzia, di cui l’emergenza rifiuti rappresenta solo una delle tante sirene d’allarme, risiede un profondo fallimento culturale, poiché i desideri e l’immaginario della società globalizzata contemporanea sono alimentati e plasmati dal modello di sviluppo che ha fondato la nostra civiltà consumistica.
Questa drammatica situazione è definita dallo scrittore Amitav Ghosh come la “grande cecità contemporanea”, ovvero l’incapacità stessa di pensare e rappresentare la crisi ambientale.
Nell’habitat naturale di oltre metà della popolazione mondiale, caratterizzato da grandi o medi insediamenti urbani, la plastica è uno dei materiali più utilizzati nonostante sia difficilmente riciclabile. Laura Parker, giornalista ambientale, sottolinea come in tutto il mondo solo un quinto di questo materiale viene riciclato.
La speranza di ridurre l’inquinamento del nostro ecosistema è riposta nell’incredibile capacità creativa degli uomini. La stessa che ha consentito di modellare il pianeta mettendo il suo equilibrio in serio pericolo, e che oggi può offrire nuove strategie di sopravvivenza anche grazie all’incredibile quantità di dati a disposizione da parte della comunità scientifica che descrivono gli effetti presenti e futuri delle nostre azioni.
Le numerose soluzioni proposte negli ultimi anni hanno permesso di intervenire lungo la catena di gestione dei rifiuti per rallentare la produzione di materiali non riciclabili e rimuovere quelli dispersi nell’ambiente.
Il primo passo, orientato a scoraggiare il consumo di materiali non riciclabili, è quello intrapreso da Dianna Cohen, artista e cofondatrice della Plastic Pollution Coalition, organizzazione che sensibilizza i cittadini e promuove un consumo alternativo e responsabile. L’artista, durante la sua famosa TED Talks , ci invita a limitare il più possibile l’acquisto di oggetti di plastica usa e getta.
Parallelamente è necessario trovare tecniche a basso costo energetico per intervenire quando il consumo di plastica è già avvenuto. Questa è la direzione intrapresa da Boyan Slat, fondatore della Ocean Cleanup, che ha realizzato un sistema per ripulire il mare presto testato su larga scala nell’oceano Pacifico. Un progetto ambizioso che il giovane inventore ha presentato al pubblico nel 2012 durante una TED Talks nella sua città.
Anche l’Italia risponde all’appello lanciato dall’ONU, quest’estate Legambiente prende il largo con il progetto Pelagos Plastic Free realizzato in partnership con Expédition MED per pulire le acque e monitorare l’impatto delle microplastiche sull’ecosistema del santuario Pelagos per i mammiferi marini del Mediterraneo, l’area marina protetta al largo delle coste della Liguria, Toscana, Sardegna e Francia.
Si stima che nel 2050 la popolazione mondiale raggiungerà il picco di 9 miliardi di abitanti che vivranno per lo più in grandi agglomerati urbani, pertanto la questione ambientale deve diventare la nostra principale preoccupazione.
In quale habitat vogliamo vivere?