Casa per me è diventato un concetto in continua evoluzione, dal momento in cui ho deciso di lasciare il mio Paese, la mia città, il mio lavoro stabile (e ben pagato), i miei amici e molto altro ancora.
Dove tutto è cominciato…
Tutto ha avuto inizio con TED. Perché è stato proprio durante una conferenza TED che ho incontrato il mio attuale marito: un italiano. Per lui ho deciso di trasferirmi in questo straordinario luogo che è l’Italia.
Avevo partecipato a quell’evento per ottenere la licenza di poter ospitare eventi TEDx nei Paesi Bassi: il mio Paese d’origine. Infatti, per organizzare una manifestazione con più di cento partecipanti, tutti i licenziatari delle “new bees” devono impegnarsi ad assistere ad una conferenza TED, dove poter apprendere tutti i valori, le regole e le normative che riguardano la realizzazione di un evento TEDx. Ma, soprattutto, è un’occasione imperdibile per entrare in contatto con la fantastica comunità di TED: percepirne il “feeling”, vedere e ascoltare tanti TED talk dal vivo e incontrare molte persone interessanti. Posso affermare che è stata un’esperienza indimenticabile e che ha cambiato la mia vita per sempre.
Uno dei talk che mi hanno più impressionato si è svolto il primo giorno di TEDGlobal 2014. In quel momento non immaginavo che qualche anno dopo io stessa avrei vissuto un’esperienza simile a quella di cui parlava lo speaker.
Lo speech (guarda video sopra) a cui mi riferisco è quello di Taiye Selasi: una scrittrice che ha esplorato il nostro rapporto con la molteplicità delle identità. Selasi si fa portavoce, in particolare, di quelle che definisce persone “multi–locali“, che si sentono a casa nella città in cui sono cresciute, ma anche nel luogo in cui vivono ora e forse in un altro posto o due. La scrittrice mette in dubbio il concetto di provenienza, del “venire da un Paese”. Ci e si pone la domanda: “Come può un essere umano derivare da un’astrazione?”. La sua è una prospettiva interessante, che potrebbe permetterci di considerare in modo diverso non solo il nostro senso di appartenenza, ma anche quello degli altri. Il concetto di Paese basato sul “da dove vieni” limita il nostro modo di pensare più di quanto possiamo comprendere.
Dal momento in cui mi sono trasferita in Italia, anche io ho iniziato a ricevere la domanda “da dove vieni?”. All’inizio rispondevo facilmente, senza pensarci troppo: dai Paesi Bassi, ovviamente. Ma più il tempo passava, più diventava difficile dare una risposta esaustiva. E ora che vivo in Italia da tre anni, anche qui mi sento “un local”. Mi sento a casa a Milano, dove ho vissuto per più di un anno, a Bergamo, dove sono stata per quasi due anni e ora anche tra la neve dell’Alta Val Brembana, dove attualmente soggiorniamo (insieme a mio marito).
Sento di far parte di questo luogo, voglio partecipare, fare la differenza, essere una del posto. Voglio unire la mia identità olandese con quelle nuove che ho trovato qui, senza poi sentirmi un’estranea dove ho vissuto per cosi tanti anni: i Paesi Bassi.
Ma cosa significa, davvero, appartenere ad un luogo, ad una comunità, ad un Paese?
Non è il posto dove siamo nati che stabilisce la nostra identità: molto di più contano i luoghi in cui avvengono rituali, relazioni e restrizioni. Se consideriamo questi tre parametri verrà fuori un’immagine molto diversa della nostra vita vista in un contesto locale e la nostra identità sarà definita come una serie di esperienze. Come unità di misura dell’esperienza umana, infatti, il concetto di Paese non è abbastanza. Il mito dell’identità nazionale e il “venire da” spesso ci confonde e ci induce a cadere nella trappola del collocarci in categorie stagnanti, che si escludono a vicenda. In realtà, siamo tutti multi “multi–locali”. Riconoscere questa complessità ci avvicina agli altri, aiutandoci a trovare dei punti di congiunzione a prescindere dal luogo in cui siamo nati e vissuti.
Quindi, non chiedermi da dove vengo, chiedimi dove mi sento a casa.
di Lonnie Holders
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